Cos’è che rende un gioco interessante?
Domanda difficile. Nel libro A Theory of Fun Raph Koster scrive che un gioco è stimolante quando ne riconosciamo il pattern. Il pattern è l’insieme di vincoli e sfide che quel design ci propone. Se il pattern è troppo ovvio allora il gioco risulta noioso e superfluo. D’altra parte, se il pattern è incomprensibile allora non abbiamo modo di agire in maniera intenzionale e il gioco diventa frustrante.
Un gioco è interessante quando ne capiamo le regole o le leggi ma questa consapevolezza non riduce il gioco all’ovvietà. Piuttosto, l’ecosistema che ne deriva propone ostacoli che comprendiamo e che ci gratificano nel tentativo di superarli.
A Tablescope sviluppiamo giochi da tavolo ibridi digitali che fanno affidamento su una tecnologia di visione digitale all’avanguardia. Ogni iterazione richiede di apportare modifiche a un macchinario complesso. Il concetto di pattern di gioco è uno degli strumenti che ci permette di orientare e ottimizzare questo processo.
Come esercizio, spezzetto il mio personale processo di comprensione dei pattern del videogioco Lumberjack, un semplice design giocabile all’interno di una chat Telegram.
L’evoluzione dei pattern di gioco in Lumberjack
Lumberjack non prevede un tutorial.
Quando avvio il gioco vedo il tronco d’un albero in mezzo allo schermo. L’avatar a forma di boscaiolo con berretto e camicia a quadri attende, ascia levata, a un lato della pianta. Al bordo dell’area di gioco due frecce puntano rispettivamente a sinistra e a destra.
Premo il tasto freccia destra sulla tastiera.
L’ascia cala sull’albero e ne rimuove la base. Premo la freccia sinistra. Il boscaiolo si sposta dall’altro lato e taglia il pezzo successivo. Ogni ciocco rimosso aumenta il punteggio di un punto. La parte superiore dell’albero scorre verso il terreno dopo ciascun taglio.
Il concetto di cima dell’albero non sembra essere contemplato: a meno di perdere la partita, il gioco è infinito.
D’altro canto, la pianta possiede dei rami. Per precauzione cerco di tagliare sempre dal lato dove non ci sono rami. Sembra sempre esserci almeno un lato dell’albero senza rami.
Dopo una decina di ciocchi rimossi, mi accorgo che sopra al punteggio c’è una barra verde che si consuma nel tempo e che recupera lunghezza ogni volta che un segmento della pianta viene rimosso. Sospetto che far esaurire del tutto quell’indicatore non sia cosa buona: non posso prendermela troppo comoda a tagliare l’albero.
Pressione, questa nuova consapevolezza mi mette sotto pressione.
Destra, sinistra, sinistra, RAMO. La barra non si è consumata ma la partita è finita nel momento in cui ho cercato di tagliare l’albero dal lato del ramo. Tagliare all’altezza dei rami pone fine alla partita.
Gioco ancora un paio di partite senza preoccuparmi di sistematizzare le informazioni sui pattern di gioco raccolte finora. In questo momento il mio approccio al gioco consiste nel decidere di volta in volta se premere destra o premere sinistra, evitando i rami e facendolo il più velocemente possibile.
Alla quarta partita inizio a raggruppare le azioni di gioco.
Se a destra c’è una sequenza di tre ciocchi da rimuovere, procedo a premere tre volte la freccia destra. Poi mi sposto a sinistra premendo la freccia corrispondente il numero di volte adeguato. L’azione elementare consiste ancora nel premere singolarmente destra o sinistra, ma adesso le agglomero mentalmente in un pacchetto di una o più pressioni.
Nel frattempo mi rendo conto che ogni venti tagli l’indicatore del livello aumenta di uno. Questo non comporta nessuna modifica al gioco, se non che la barra in alto si consuma più velocemente. Più punti si fanno, più velocemente bisogna tagliare.
La scoperta teorica
Sembra che il pacchetto minimo di azioni comprenda sempre almeno due pressioni sulla stessa freccia. Nell’ottava partita verifico l’ipotesi, che viene confermata. Non si può tagliare un ciocco se su quel lato un ramo si trova subito sopra l’avatar. D’altronde, non si può nemmeno cambiare lato se dall’altra parte un ramo è già al livello del suolo: il gioco deve sempre offrire un lato su cui sia possibile tagliare almeno due volte! (Sapevo che quel dottorato in matematica sarebbe prima o poi servito.)
L’azione elementare diventa quella di pigiare almeno due volte lo stesso tasto.
Dopo un’altra manciata di partite comincio ad automatizzare l’esecuzione dei pacchetti di azioni.
Mentre le dita pigiano quattro volte la freccia destra, gli occhi controllano quante volte andrà premuta la freccia sinistra e così a seguire.
Alla trentesima partita i pacchetti di azioni diventano pacchetti di pacchetti di azioni.
Tutta l’informazione sullo schermo viene interpretata e utilizzata per generare una sequenza di destra/sinistra. La sequenza viene eseguita e allo stesso tempo aggiornata in base alla configurazione dei nuovi rami che appaiono in cima allo schermo.
Totalizzo 364 punti in una partita che termina perchè la barra verde in cima allo schermo si è esaurita. Mi ritengo soddisfatto e smetto di giocare.
Pattern di gioco finiti?
Più o meno. A questo punto comincerebbe l’approccio agonistico. Allenamento, postura, morbidezza del polso, velocità ingegnerizzata per minimizzare il rischio ma allo stesso tempo mantenere piena la barra verde, e via dicendo.
D’altra parte, se Lumberjack puntasse a essere un design longevo allora dovremmo aspettarci che pattern di gioco più complessi emergano con l’esposizione prolungata ai suoi meccanismi. Negli scacchi questo coinciderebbe con lo sviluppare per esempio la teoria delle aperture.
Conclusioni e articoli correlati
Capire e plasmare i pattern di gioco è un passaggio cruciale quando si tratta di inventare un nuovo gioco.
Prossima volta che metti le mani su un prototipo, passa qualche minuto a identificare e sezionare i suoi pattern di gioco 😉 Quali sono quelli portanti e quali quelli accessori? Quali emergono alla prima partita e quali alla decima?
Infine, se ti va di leggere come alcuni giochi possano produrre pattern frustranti (e imparare come gestire queste situazioni con lo zen), dai un’occhiata a Quattro cose imparate giocando a Magic: The Gathering.